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Vi siete mai chiesti come muore un'idea?

Nel mese di dicembre, ho seguito un corso organizzato dalla Camera di Commercio di Padova relativo al percorso fa un'idea per diventare prodotto. Vorrei, quindi, condividere con voi alcuni spunti che mi hanno colpito durante i 4 incontri.

Potevo iniziare dal come nascono e si sviluppano le idee invece scelgo di cominciare da alcune riflessioni sul perchè muore (il docente di riferimento è Eugenio Farina)! E in particolare su quelle abitudini e quegli atteggiamenti che ne complicano la concretizzazione e la reallizzazione.

Non tanto quindi una assenza quanto un sabotaggio:

  • "gli italiani sono creativi e geniali perchè hanno dato i natali a Leonardo da Vinci e a Giotto": si è vero, ci sono mille esempi di italiani illustri sia nel passato che contemporanei; questa, però, non è una condizione sufficiente per poter affermare che lo siano tutti gli italiani e che qualsiasi idea che viene ad un connazionale sia vincente. Allo stesso modo, non è vero che se il nostro trisavolo era medico possiamo fare consulti medici anche noi! Quando ci viene un'idea, quindi, dobbiamo valutarla per quello che è, mantenendo i piedi per terra!

  • "chi mi critica è invidioso": è possibile che se raccontiamo una nostra idea a qualcuno, questo la critichi per invidia...ma esiste anche la possibilità che lo faccia perchè effettivamente ci sono dei difetti e delle falle nei nostri ragionamenti (altrimenti detto "nessuno è onnisciente")! Prendiamo in considerazione la possibilità che il nostro interlocutore possa vedere aspetti della nostra idea che noi non avevamo considerato e che, quindi, la sua opinione abbia un fondamento di verità. Ovviamente, dobbiamo essere bravi a distinguere l'invidia dalla collaborazione.

  • "più è ricco e meglio è": dipende: se parliamo del conto in banca, non penso nessuno dica il contrario. Se parliamo di una idea o di un progetto è meglio fermarsi e cominciare a togliere fino ad arrivare all'essenziale e, poi, solo se richiesto o necessario, tornare ad aggiungere pezzi. In questo modo, si avrà più controllo su quello che funziona e su quello che va cambiato e, inoltre, sarà possibile accontentare un target maggiore di clienti. Se ci pensate, infatti, nella maggior parte dei prodotti che acquistiamo c'è la versione di base e via via quelle più accessoriate. Beh non è un caso!

  • "io speriamo che me la cavo": ha a che fare con la difficoltà a dire di no, per paura magari di perdere un'occasione, pur sapendo che ci stiamo mettendo da soli nei guai. In realtà, non abbiamo tempo o le competenze (giusto per fare due esempi) per soddisfare una richiesta ma partiamo dal presupposto che in qualche modo alla fine ne usciremo senza fare neanche una figura troppo brutta. Solo che magari dormiremo 4 ore in meno, dovremo raccontare qualche bugia o dovremo affidarci alla fortuna. Certo, si può fare (e si fa) ma alla lunga dove andremo? Ci ritroveremo a rincorrere le necessità altrui, disperdendo energie e risorse. E' vero, la rigidità di alcuni colleghi, per esempio tedeschi, forse è eccessiva ma è opportuno trovare un equilibrio tra flessibilità creativa e pragmatismo (in un altro post vedremo come fare).

  • "se va male a chi posso dare la colpa?": quando un'idea fallisce c'è la tendenza a trovare un colpevole, possibilmente che non sia "me stesso". E se cambiassiamo la parola "colpa" con la parola "responsabilità"? Dare la colpa di un fallimento fa si che non ci sia altra possibilità; se invece valutiamo le responsabilità, valutiamo cosa ha funzionato e cosa no ed, eventualmente, apportiamo dei cambiamenti nelle strategie che abbiamo pensato. La nostra idea ha ancora un futuro, anche se è diversa da quella iniziale.

Guardando me stessa, l'atteggiamento che fa morire di più le mie idee è, senza dubbio, il "io speriamo che me la cavo". Il vostro qual'è?

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